La storia della Sabina comincia per noi con il mitologico “ratto” da parte dei Romani nei confronti delle donne Sabine. Lo storico Tito Livio riporta questo episodio della storia romana, cercando di individuare le cause e le ragioni di un comportamento cosi’ poco ortodosso, e rinvenendole nella necessita’ di procurarsi, oltre che delle mogli, delle buone fattrici. Da qui la scelta delle vicine “sabine”, famose oltre che per il loro fascino anche per la fama di ottime cuoche.
L’olio d’oliva della Sabina: un’eredita’ nei secoli
Pur essendo il territorio laziale ricco di ulivi, le tecniche di coltivazione vengono pero’ importate dalla piu’ evoluta Grecia e la loro diffusione nella penisola e’ così rapida che gia’ nel I sec. a.C. sono documentate 22 varietà di olive: l’ottima conservabilità dell’olio e il suo prezioso apporto nutrizionale rendono quest’alimento indispensabile per tutti i tipi di cucina. L’olio migliore fra tutti, pero’, è approvvigionato proprio dalla Sabina. In seguito, infatti, gli abati di Farfa, che nell’alto Medioevo estendevano il loro dominio spirituale e temporale su tutta la Sabina, svilupparono e intensificarono l’olivicoltura. I monaci di Farfa avevano fatto della loro abbazia non solo un importante centro commerciale, ma anche e soprattutto uno splendido centro culturale: nella valle fra le colline avevano costruito una chiesa, cinque basiliche, un palazzo imperiale, numerosi fabbricati, colonnati e portici, il tutto protetto da solide mura e torri.
Distrutta dai Saraceni, l’abbazia venne ricostruita varie volte, avviandosi comunque a poco a poco ad un lento declino; solo l’importante mercato annuale che si svolgeva in essa continua, anche in seguito, ad essere meta di commercianti provenienti da tutta la regione. Dopo il Mille comincia per tutta l’economia sabina un momento di crisi dovuto alle lotte fra i signori locali ed alle invasioni dei Saraceni. In questo contesto storico diventa sempre piu’ difficile coltivare la terra allo scopo di creare un’economia stabile e produttiva: tutti gli sforzi sono tesi, semmai, alla difesa del proprio territorio cosicche’, a scopo difensivo, vengono costruiti paesi fortificati, arroccati sulle cime dei monti e la popolazione si inurba abbandonando terre e coltivazioni. Una cucina sui generis Per molto tempo una delle fonti principali di sostentamento sarà la caccia negli immensi boschi di querce e lecci, e la pesca nei numerosi corsi d’acqua e laghi della regione. La caccia ad animali di taglia piu’ grossa, cinghiali, lepri, volpi e cervi, veniva praticata solo dai feudatari; cioe’ coloro che potevano permettersi cani da fiuto e battitori; alla plebe rimaneva la caccia di tordi, tortore, beccacce, coturnici, barbagianni e colombi selvatici. I maiali selvatici nei boschi di querce erano al tempo numerosissimi e molto ricercati, non solo a scopo venatorio, ma anche perche’ tra questi vengono scelti quelli piu’ adatti alla ricerca del tartufo, che, proprio perche pregiati, vengono cinti con una speciale fascia bianca affinche’ possano essere ben riconoscibili.
Sulle tavole sabine il pesce era più comune delle carni; nei numerosi torrenti e nei laghi si pescavano gamberi, albarelle, anguille, carpe, lucci, tinche, persici, coregoni e le ancor oggi famose trote di Velino. Si tratta di ricette semplici che prediligono una cottura arrosto sulla griglia o al camino, arricchite dal profumo di erbe di campo, come la maggiorana, il timo, il prezzemolo, il rosmarino.
Feste e ricorrenze
Al contrario, lungo la valle del Tevere e dell’Aniene l’agricoltura e’ sempre stata difficile e poco redditizia, per cui il raccolto, dopo un lungo e faticoso lavoro, era festeggiato con sagre e feste: a Leonessa si festeggia la mietitura con la caponata di melanzane ed i proprietari dei campi provvedono a far preparare per gli operai un abbondante e piccantissimo pollo con pomodori e peperoni; ad Antrodoco c’è l’usanza della panarda, una merenda del tutto particolare a base di una quarantina di piatti regionali.
Durante la tradizionale cena della Vigilia di Natale la Sabina mette in tavola un ricco menù, composto da un antipasto di pesce marinato, cui fa seguito un primo a base di spaghetti con tonno e acciughe, mentre, per i palati più esigenti, si preparano i sofisticati tagliolini al sugo di tinca. Il pranzo prosegue poi con la frittura mista composta di filetti di baccalà, mele, cardi e cimette di cavolfiore, seguono l’anguilla arrosto o il baccalà in agrodolce, ed infine un gran piatto di dolcetti secchi, profumati d’anice e farciti di nocciole che andranno gustati con un bicchierino di vin cotto.
Tradizioni gastronomiche
In Sabina vi e’ una vera e propria tradizione di pasta fatta in casa, con la farina ottenuta macinando il grano dei propri campi e con le uova del pollaio. La pasta più diffusa sono le fettuccine, ma in ricordo di quando la povertà aveva fatto delle uova una merce preziosa, in Sabina si può dire che ogni centro abbia le sue paste speciali, ricche di sapore e fantasia lavorate con sola acqua e farina. Tutte le paste sono accomunate da condimenti simili, in genere a base di pomodoro, peperoncino, pecorino cui si aggiunge la carne di maiale o d’agnello e, qualche volta, il pesce. I dolci della cucina popolare sabina sono comuni a quasi tutto il territorio laziale e sono gli stessi che fanno parte della cucina tradizionale romana. Sono dolci semplici, a base di ricotta o di castagne, cui si aggiungono le nocciole, coltivate nella regione e con le quali si confezionano anche numerosi ed ottimi dolci secchi.